Grandi Horrea
I Grandi Horrea rappresentano il più grande edificio commerciale ostiense e, probabilmente, uno dei più antichi. La loro costruzione viene fatta risalire tradizionalmente all’epoca di Claudio (41-54 d.C.), in connessione con l’aumento dei traffici commerciali legati alla costruzione del porto, ma recentemente Filippo Coarelli ha proposto di retrodatarne l’epoca di costruzione all’età repubblicana, anche in virtù della centralità dell’area rispetto al Tevere e alle principali arterie di traffico. A questa fase risale il poderoso muro perimetrale occidentale dei magazzini, in opera quadrata di blocchi di tufo dell’Aniene, ben visibile lungo Via dei Molini: muri simili si trovano spesso all’interno dei magazzini, sia per motivi statici (per resistere alla pressione esercitata dalle grandi quantità di grano) sia come protezione dagli incendi. A questa fase risale anche il portico a U interno, con colonne di tufo e capitelli tuscanici di travertino.
I magazzini furono comunque completamente rifatti in mattoni all’epoca di Commodo, imperatore molto attento al problema degli approvvigionamenti granari di Roma: la pianta si mantenne inalterata, ma l’edificio venne dotato di un primo piano, con rampe di scale ai quattro angoli del cortile.
L’ingresso principale dei magazzini si apriva a ovest, in corrispondenza dell’imbocco della Via di Diana: dava accesso ad un vasto cortile rettangolare, bordato su tre lati da profonde celle in laterizi, secondo la planimetria canonica dei magazzini ostiensi. A differenza di quanto accade negli altri magazzini, il cortile non è lasciato libero al centro, ma è occupato da due file di celle, con il muro di fondo in comune, tese a sfruttare il più possibile lo spazio disponibile per aumentare la capacità dell’edificio. Le celle erano state dotate, proprio all’epoca di Commodo, di suspensurae (pavimenti rialzati) che, creando un’intercapedine, servivano a isolare il grano dall’umidità e a mantenerlo fresco e asciutto.
Sotto Settimio Severo, l’ala settentrionale del complesso, che doveva presentare anch’essa una fila di ambienti con portico antistante, fu completamente modificata: il portico fu inglobato all’interno di una serie di celle più ampie e profonde, divise da un passaggio centrale e aperte a nord verso il Tevere; su questo lato furono inoltre aggiunte tre grandi celle trasversali, separate da due passaggi, che portarono la capacità complessiva a circa 5.500-7.000 tonnellate di grano. In quest’epoca, o in un’epoca ancora più tarda, gli intercolumni del portico furono chiusi con tramezzi in muratura.
A questi interventi non è probabilmente estraneo il fatto che, come si apprende dalle fonti, l'imperatore Commodo avesse creato un’intera flotta, la Classis Africana Commodiana Herculea, di stanza a Cartagine e destinata al trasporto del grano, potenziandone così l’afflusso. La configurazione del complesso e, soprattutto, le ridotte dimensioni degli accessi e i dislivelli presenti indicano chiaramente che le attività di trasporto e immagazzinamento del grano erano svolte non per mezzo di carri ma da facchini (i saccarii) che trasportavano i sacchi a spalla.